mercoledì 26 ottobre 2011

Padova

Padova. Faccio ancora fatica a scrivere un post che renda l'idea di quanto questa città mi sia piaciuta. Partiamo dai fatti. Finalmente vinco la mia tanto criticata e mal interpretata pigrizia e decido di andare a trovare la mia amica romana Stefania che si è trasferita da qualche anno a Padova. Non vi dico i preparativi per la scelta dei vestiti visto il tempo (sarà caldo o freddo, in alternativa porto pure un cappottino) e la conseguente valigia riempita fino all'inverosimile a cui si sono aggiunte, non calcolate, le mie New Ballance infilate in macchina all'ultimo momento. E qui non sto a descrivere la faccia di Ago. Comunque. Padova.  Arriviamo in anticipo rispetto ai tempi lavorativi del super avvocato e quindi ci fiondiamo subito in centro per un aperitivo.
Ci prendiamo uno spritz a  2 euro e 50 centesimi. Si, avete letto bene, lo spritz costa 2 euro e 50 centesimi. 
E da qui inizio la mia fase scrutativa.
La città è splendida, pulita, tanto verde. Le case sono molto belle e curate. Ogni elemento, dalla finestra al balcone ai fiori sembra nato per stare lì, preciso, perfetto. 
Il padovano, incluso lo studente fuori sede, è gentile e molto cordiale, niente a che vedere con il nostro essere maremmani. Questo tema è stato a lungo criticato in altre sedi e non voglio aprire un dibattito qui su come è il capalbiese, su come si mangia a Capalbio, su come sono le spiaggie di Capalbio. Preciso che, per quello che mi riguarda, come si mangia a Capalbio non si mangia da altre parti e la spiaggia di Capalbio è la spiaggia di Capalbio. Lo scrivo perchè non voglio alimentare altri dubbi su come il capalbiese sente la sua terra e su quanto si impermalosisce davanti a provocazioni rabbiose. Però io non sono una capalbiese integralista e quindi mi apro a nuove lidi e a nuovi sapori anche se poi quando torno al paesello penso a quanto è bella casa mia (integralista no, campalinista si). Andiamo avanti, scusate la chiosa ma ci stava tutta.
Torniamo a casa dove la Stefi ci delizia con una cena da grandi occasioni e dove conosco Manfredi, il beagle di Cesare. Un cane decisamente vivace a cui piace (parecchio) lo yogurt ma a cui all'inizio è piaciuto poco Agostino. Io e lui invece, manco a dirlo, siamo diventati subito amici.
La serata finisce in chiacchiere, pettegolezzi vari e programmi per il giorno dopo. Infatti il sabato i ragazzi ci hanno portato al mercato che si sviluppa intorno al Salone e cioè in Piazza della Frutta e in Piazza delle Erbe.
E lì Padova mi ha conquistata.
Il mercato è di una pulizia sconcertante, i banchi sono talmente ordinati che ti sembra davvero di essere in un negozio dove compreresti tutto quello che è in vendita. Io mi sono fermata in due bancarelle di risotti, legumi, cuscus conditi con vari tipi di verdure, funghi e pesce. Anche il Salone, un mercato coperto aperto tutti i giorni dove si vendono generi alimentari di vario tipo, è veramente smenfriss. Compreresti tutto anche se il prezzo non sempre è economico. E proprio da una di queste botteghe che ho avuto il piacere di stringere amicizia con il famoso baccalà mantecato. Non sono una fan del baccalà, l'ho assaggiato per la prima volta quest'estate alla sagra di Sant'Andrea ma questo piatto veneto con la  sua mantecatura è veramente da lode. Certo non è propriamente come mangiarsi un'insalatina però ne valeva la pena e quindi  ne è stata fatta una scorta da portare in terra toscana. 
Dopo il mercato abbiamo fatto una passeggiata nella zona del ghetto dove ci sono discreti negozi di arredamento e design. Il ghetto, che qui si snoda tra vie con portici e piccoli ma suggestivi palazzi, è un luogo sempre identificato, delineato, riconoscibile. Non so se questo sia un effetto che fa solo a me, influenzata dalla storia e dalla mia sensibilità, o se effettivamente la storia della comunità ebraica sia stata così dirompente da lasciare un segno nelle strade e nelle case dove ha avuto uno sviluppo tanto da delineare efficacemente i connotati di un quartiere.
La mattina sono riuscita a farci rientrare anche una visitina al Battistero e qui non mi perito a descrivere i bellissimi affreschi di Giusto de' Menabuoi perchè l'immagine parla da sola (anche se la foto l'ho scattata io)

Gli affreschi sono stupendi e la cupola è un vero gioiello ma le parti che più mi hanno colpito sono state principalmente due: la scena delle Nozze di Cana con i soliti animali e gli oggetti della vita quotidiana del tempo ben ordinati nella tavola imbandita e la raffigurazione dei quattro Evangelisti.  Figure così monumentali, sedute dietro a vere e proprie scrivanie a cui mancherebbe solo la presenza di un pc da quanto sembrano moderne. Ma è il passato che ritorna nel presente oppure è il presente che ha sempre il bisogno di rifugiarsi nel passato?

Va beh lasciando gli affreschi di Giusto il pomeriggio siamo stati nella lontana Basilica del Santo (Antonio), un vero e proprio santuario dove:
fai il percorso per salutare la tomba,
fai il percorso per vedere le reliquie,
non puoi accendere candele ma le puoi depositare in apposite scatole,
puoi lasciare una preghiera al santo scritta,
c'è uno shop immenso dove è in vendita qualsiasi cosa.
La tomba, circondata di immagini ex-voto  (moderne), colpisce per l'intensità dei volti dei fedeli che si recano a visitarla. Come ho già scritto fai un percorso; ti metti in fila e dopo essere passato tra le foto, gli ex-voto e le suppliche scritte vedi la tomba sulla tua destra e senti intorno a te l'animosità delle persone che pregano. Ogni credente, passandoci davanti, appoggia sulla lastra candele, rosari, immagini. Questa sorta di messa in scena moderna del sacro ha il potere di fare da cassa di risonanza ad una forte carica emotiva a cui è difficile sottrarsi.
Dopo la Basilica siamo andati, previo appuntamento, a visitare la  celebre Cappella degli Scrovegni dove puoi rimanere un quarto d'ora scarso e quindi non è che ti godi molto gli affreschi che tanto hai studiato all'Università. Peccato.
Il resto del pomeriggio lo abbiamo passato in giro per la città e qui non ho potuto non notare l'eleganza dei negozi dei portici; ogni vetrina ha un che di composto, istituzionale, preciso.
Niente sbavature, niente vestiti anonimi, niente "costa tanto ma è uno straccetto"  perchè i prezzi sono abbordabili e i vestiti decisamente carini. Lo stesso discorso vale per le persone: donne, uomini, bambini tutti che sembravano usciti dal parrucchiere (magari neanche tanto sembravano) con personal shopper annesso. Insomma padovani promossi a pieni voti.
La sera aperitivo spritz (chiaramente) e assaggio del folpo. Il folpo (nostro polpo) che ho mangiato io è bollito e condito sul posto con olio e limone. Te ne fai un piatto e svieni dalla bontà.
A cena siamo andati in uno dei ristoranti preferiti dalla mia amica, l'Osteria dal Capo e anche qui grande magnata con successivi complimenti allo chef che passava tra i tavoli. Anche questa  storia dello chef che gira tra i tavoli per sincerarsi sul gradimento dei propri piatti mi è nuova! Comunque se qualcuno dovesse capitarci a cena consiglio vivamente i bocconcini di vitello con funghi e zucca serviti con due spicchi di polenta, un piatto buono e per chi non vuole noie di diete.
Il giorno dopo in tarda mattinata  abbiamo fatto colazione in un bar dove ho bevuto il mio primo macchiatone  (un cappuccino con meno latte) e dove preparano, solo la domenica, un tipo di pasta chiamata principessa.
Dopo questo primo round di cibo siamo stati ancora al Salone, che era aperto eccezionalmente di domenica, dove ti offrivano assaggi di qualunque genere alimentare: gli sfilacci di cavallo, la trippa, la soppressa (oltre a vari salumi), i pescetti fritti, i succhi di frutta, la cioccolata. C'era pure un negozio di animali che regalava crocchette per gli amici a quattro zampe. Insomma veramente di tutto. Dopo aver praticamente pranzato lì siamo andati in Prato della Valle dove era allestito un mercatino d'antiquariato intorno a tutta la piazza.
Il pomeriggio si è concluso con una seconda tornata di shopping di mezz'ora (la prima c'era stata il giorno precedente) a conclusione della quale ho raccimolato: 3 maglioni, un paio di pantaloni, le solite 4 paia di orecchini e una borsa. Ma tutto da H&M e Zara quindi ho speso meno di 80 euro (in totale!!!) e non mi sento in colpa. Per niente.

Sono felice di essere stata a Padova, ospite della mia amica. Penso sempre che sia Capalbio il mio luogo di elezione, il rifugio, la tappa fissa dei legami ma devo ammettere che visitare la città dove vive Stefania mi ha offerto un punto di vista nuovo proprio della sua vita.  L'osservazione della città e delle persone mi ha inoltre permesso, come mi ha suggerito una cara amica, di ridimensionare e di vedere sotto una nuova luce il posto dove vivo. Troppo spesso consideriamo unico e bello quello che tutto sommato proprio unico e bello non è  e questo avviene sino a che non vinci la pigrizia e ti metti nella condizione di voler scrutare il mondo.

Per concludere in leggerezza lunedì ero a San Giovanni dove per la cronaca ho fatto una breve incursione da Prada. Ma non ho comprato niente. Bugia.



giovedì 6 ottobre 2011

Se non hai ammirato Jobs, non hai ammirato Jobs.

Siena. Ore 7:36. Telefonata di Ivana che mi sveglia dandomi l'annuncio della morte di Steve Jobs. Cavolo. Mi alzo in un secondo, prendo il pc e lo porto a letto. Lo accendo e vado sul sito del Corriere per leggere la notizia. Cacchio, è morto davvero. 
DISPIACERE E FRUSTRAZIONE. 
Vado su Facebook e immediatamente pubblico un post su di lui e poi mi riguardo il suo discorso di Stanford del 2005. Formidabile, acuto, denso.
Mentre sono ancora a letto leggo un post su facebook che da dei patetici a tutti coloro che nel social network lo ricordano e che si dimenticano di tutte le altre morti. MAMMINA. 
Ricapitoliamo. Faccio mente locale per farmi capire.
Nel 2011 alcuni essere umani che vivono in questo pianeta hanno fortunatamente la possibilità di poter scegliere; scegliamo che mutande mettere la mattina, quali scarpe, quale borsa, quale giacca. Scegliamo la suoneria del cellulare, lo sfondo del pc, scegliamo il colore dei capelli. Scegliamo cosa mangiare a pranzo, scegliamo se prendere in casa un cane o un gatto. Scegliamo la musica da ascoltare, il libro da leggere, il film da vedere. Scegliamo di tifare per una squadra di calcio, scegliamo il personaggio politico che ci piace, scegliamo se ce ne frega o no di quello che fa la Canalis in America. Scegliamo gli amici, scegliamo a chi volere bene e chi ci sta sulle palle. Scegliamo chi vogliamo che sia il nostro modello di vita. E si, scegliamo anche la morte che ci colpisce di più.
Io non ho mai comprato nessun prodotto Apple (stavo per farmi regalare l'IPod quest'estate ma poi ho rinunciato per una mia polemica personale sul fatto di dover scaricare per forza iTunes per poterci mettere la musica) e non sono una fan di Steve Jobs. 
MA NON SONO UN'ITEGRALISTA e in questi ultimi anni ho seguito con interesse le vicende legate alla sua vita. Ciò che più mi colpiva, manco a dirlo, era la sua malattia.
Ho trovato straordinaria la sua forza di esporsi nonostante fosse divorato dal male (durante la sua ultima presentazione aveva le sembianze più che di un uomo di uno scheletro); il suo desiderio di far vedere al mondo che lui c'era, costante come la sua passione, costante come la volontà di far conoscere i suoi prodotti (e anche di venderli chiaramente). Mi affascinava molto l'idea di un uomo combattente che stava lì su quel palco a far vedere soddisfatto le sue creazioni. Schiaffi in faccia alla  sua malattia. 
Ero profondamente incuriosita dalle sue apparizioni pubbliche, seguivo il lento assottigliarsi delle sue invenzioni che era direttamente proporzionale con l'assottigliarsi della sua figura, con quel volto sempre più scavato ma costantemente sorridente.  Un po' come dire: "Il re è nudo. Ma io sto sul pezzo, voi?"
E poi via vogliamo dedicare qualche parola su come fosse diventata un'icona con tanto di attributi iconografici che lo hanno reso immediatamente riconoscibile? 
New Ballance, jeans, maglia nera (dentro i pantaloni), barba, occhiali da vista tondi.  Quel suo outfit così standard ha contribuito a decodificare e rendere pubblica la sua immagine. Così pubblica che anche mia mamma, pur non sapendo nenache lontanamente cosa sia un Mac, seguiva le sue sorti  con preoccupazione anche a causa della malattia e si era addirittura convinta di volermi comprare un iPad (ma non sapeva a cosa servisse).
Stamani, dopo aver saputo della sua morte, ho letto un articolo  (http://archiviostorico.corriere.it/2011/luglio/22/Due_detective_fantasma_Cosi_Jobs_co_9_110722030.shtml) che raccontava la storia della sua adozione. Il fatto che abbia avuto un'infanzia travagliata non mi ha stupito. Ho conosciuto un grandissimo medico, adottato pure lui, e ricordo bene le sue parole la prima volta che l'ho incontrato: "sono cresciuto solo e guarda dove sono arrivato!"
La morte di Jobs mi ha colpito. Quell'uomo, secondo me, ha offerto una grande lezione di vita proprio per il modo in cui ha vissuto la malattia.
Schiaffi in faccia ai nullafacenti, a chi aspetta che la vita gli dica: "ooooooo ci sei???" Schiaffi a chi si crogiola nell'attesa, a chi vive di interpretazioni, a chi non ha il coraggio di fare una telefonata,  a chi non è felice della propria vita ma non fa niente per cambiarla, a chi non ha il coraggio di scegliere, a chi si lamenta piangendosi addosso continuamente.
Jobs rappresenta il sogno americano; quella modalità del vissuto che ti ordina di inseguire i tuoi sogni e di cercare di realizzarli. E siamo anni luce (purtroppo) dal nostro vivere.
Quell'uomo con quelle fantastiche New Ballance ha dato una grande lezione di vita anche a me. Più lo guardavo in tv e più mi emozionavo ripetendomi: "Questo è davvero uno con le palle. Ce la deve fare".
E invece.....
Caro Jobs io ci provo tutti i giorni ad essere affamata (folle forse ci sono nata) ma non sempre ci riesco.