mercoledì 19 febbraio 2014

Un viaggio chiamato vita



Sto leggendo un libro di Banana Yoshimoto intitolato Un viaggio chiamato vita. Si tratta di una serie di appunti dove la scrittrice compie principalmente riflessioni sui suoi viaggi e su Tokyo. I libri della Yoshimoto mi hanno accompagnato negli anni dell'adolescenza e poi, con il tempo, ho abbandonato il suo stile semplice per dedicarmi ad altre letture ma lo ricordo sempre con grande piacere. Il libro, preso in prestito (come se già ne avessi pochi da leggere a casa), offre spunti molto interessanti ma il punto cardine è la sua scrittura che incoraggia la riflessione e ti conduce in una sorta di dimensione di tranquillità.
Lo ripeto SONO MOMENTI DIFFICILI e quindi, vista anche la mia grande capacità di autoimmedesimazione, una scrittura che calma potrebbe essere un'arma vincente. 
Intanto nel suo libro Yoshimoto racconta che parla con le piante per farle fiorire. Una roba curiosa. Non avevo mai pensato che effettivamente le piante sono esseri viventi.  Io ho una pianta in casa, regalo delle sorelle di Ago, di cui non mi curo molto se non per dargli l'acqua ogni tanto quando vedo proprio che le foglie toccano in terra. D'ora in poi mi dedicherò a quest'essere vivente di cui ho quasi dimenticato l'esistenza. Non so se ci parlerò per farla fiorire ma mi riprometto di considerarla come parte integrante della casa.
Altro segnale che conferma la mia simpatia nei confronti della scrittrice giapponese ho potuto constatarlo nella sua passione per gli animali come si evince in alcune pagine del libro dove scrive a proposito del rapporto con il suo cane. Tra i due ci deve essere stato un legame profondo e leale. C'è un piccolo capitolo dedicato al momento in cui il suo cane si ammala e la scrittrice si rende conto che non avrebbe potuto salvarlo. Quelle pagine mi hanno commossa. Io ho avuto un gatto, Chicca, che ha vissuto con la mia famiglia per quasi diciassette anni. Immaginate che con questo animale sono praticamente cresciuta perchè quando l'abbiamo presa in casa avevo nove anni. Mi ricordo benissimo il giorno in cui è morta e tutta la sofferenza che provai in quei momenti. Anche l'anno precedente la sua morte si ammalò e non dimenticherò mai quando mi accorsi che non stava bene e la paura che ebbi di perderla. Mi occupai di lei il più possibile, ricordo che le davo gli omogenizzati per farla mangiare e quando si riprese aveva l'abitudine di prendere da sola l'omogenizzato dal barattolo aiutandosi con la zampa. E questo mi fece pensare che avevo un gatto estememamente intelligente. In quell'ultimo anno della nostra vita insieme credo mi sia stata riconoscente per le attenzioni che le avevo dato in quel periodo di malattia e questo ha rafforzato il nostro legame tanto che non passava un pranzo o una cena senza che non mangiassi con lei sulle gambe. Ho amato molto questo gatto che aveva un bel caratterino ma è stata una sorta di sorella che non ho mai avuto e di questo le sarò sempre riconoscente. Ho sempre pensato che l'affetto che ho ricevuto e che ricevo dagli animali sia un nutrimento per me e ringrazio chi me lo ha insegnato perchè ho la consapevolezza e la gioia di godere di un privilegio sconosciuto a tante persone.
Ma ritorniamo al libro. Quello che mi interessa soprattutto condividere con coloro che leggeranno questo post sono due riflessioni che si trovano circa a metà libro e che vi riporto di seguito:
"Proviamo a trascorrere del tempo con gli amici o con la nostra famiglia, semplicemente, ripensando alle cose che abbiamo visto durante la giornata, raccontandocele. Lavoriamo il minimo indispensabile, concediamoci qualche errore, e se qualche volta otteniamo dei buoni risultati consideriamoli come il nostro piccolo motivo di orgoglio. Cerchiamo di ridurre il tempo passato a guardare cose che non vogliamo guardare e a fare le cose che preferiremmo non fare. Limitiamo le ore trascorse inutilmente. Però smettiamola di affannarci per diventare qualcuno a tutti i costi, per prendere iniziative, non ce n’è bisogno. Rallentiamo il ritmo, e prima di addormentarci ripensiamo a ognuna delle cose che abbiamo fatto. Sentiamoci grati per aver trascorso una giornata in salute, per la pace, per avere una famiglia, semplicemente. Ascoltiamo il nostro cuore. Il nostro tempo appartiene soltanto a noi e così pure il nostro corpo. Ognuno di noi ha un modo soltanto suo di agire, diverso da tutti gli altri. Ricordiamocene."
Ecco questa riflessione possiamo ritrovarla ovunque e magari, riformulata con parole e stile diversi, l'abbiamo letta mille volte ma credo sia necessario ribadire il concetto. 
La Yoshimoto inoltre  scrive: 
" La chiave di tutto è solo dentro di noi. Ciascuno è il migliore, ed è il più grande amico di se stesso. Oggi questa sensazione si è attenuata, e le persone sono confuse. Sono certa che, se tendiamo l'orecchio ad ascoltare la voce del nostro istinto, ritroveremo noi stessi. E una volta che si sarà verificato questo incontro, ognuno di noi con la sua grande forza illuminerà la vita di ogni giorno, e chi gli sta vicino."
Si arriva ad un'età in cui l'ascolto di se stessi è molto importante e non ci sono consigli di amici e parenti che tengano. Siamo i soli responsabili della nostra vita e le scelte che facciamo hanno delle conseguenze sull'esistenza di ognuno di noi quindi l'ascolto del nostro sentire è necessario. E bisogna farlo. Senza curarci troppo delle opinioni degli altri. Gli amici sono compagni preziosi per il confronto, per la partecipazione e per l'affetto che ricevi e che dai. Ma ognuno deve scegliere secondo i propri bisogni e le proprie sensazioni.
Difficile a farsi ma in Banana I trust.

lunedì 10 febbraio 2014

Vale la pena di scoprire la verità sul caso Harry Quebert?



Perchè dovremmo essere incuriositi dal sapere la verità sul caso Harry Quebert? Io ho appena finito di leggere il libro e ancora me lo sto chiedendo. Ho comprato il romanzo-thriller quest'estate incoraggiata dalle critiche osannanti, dal battage pubblicitario e dai commenti entusiasti di coloro che lo avevano letto. E non è un caso forse che il libro sia rimasto sul mio comodino così a lungo.
La prima regola di un buon lettore è quella di non fidarsi troppo delle recensioni dei giornalisti che incensano un libro che forse hanno letto di straforo, regola che spesso mi scordo di osservare.
Io non l'ho finito in tre giorni come di solito accade per i libri che non mi fanno staccare gli occhi dalle pagine e non l'ho trovato assolutamente travolgente. I motivi? Sono davvero tanti.
La storia ha una trama che potrebbe essere avvincente: siamo in America nel 2008 e uno scrittore in crisi, Marcus Goldman, indaga sul ritrovamento del corpo di una ragazza scomparsa in circostanze misteriose nel 1975. Verrà accusato di omicidio l'amico dello scrittore, Harry Quebert, nel cui giardino sono stati rinvenuti i resti della ragazza. Marcus, convinto dell'innocenza dell'amico, cercherà di far luce sulla vicenda e per trovare la verità sul caso gli ci vorranno ben 775 pagine. Non mi faccio intimorire dai mattoni ma dopo i primi tre capitoli la storia perde di mordente. Un libro con una trama intrigante, se fosse stato davvero una calamita, lo avrei terminato in poco tempo ma non è andata così perché qualcosa proprio non funziona. Innanzitutto i colpi di scena che, se escludo le ultime 30 pagine, non mi hanno lasciato sorpresa e non ho avuto l'impulso di sbrigarmi a leggere per scoprire lo svolgersi della storia nei capitoli successivi. 
Lo stile dello scrittore, per quanto scorrevole, non ha alcuno spessore; i protagonisti della vicenda sono raccontati attraverso il loro passato grazie al quale dovrebbero uscire le loro caratteristiche intrinseche e psicologiche. E invece no, si racconta una storia tuttavia ai personaggi non viene dato un corpo emotivo, una struttura caratteriale e quindi è difficile farsi un'idea generale di ognuno. Paradossalmente si potevano scrivere sempre 775 pagine tagliando alcune parti per approfondirne altre che forse meritavano una maggiore indagine per accrescere l'interesse del lettore.
La storia d'amore intorno alla quale ruota la scomparsa della ragazza è di un clichè abbastanza scontato (oserei dire da romanzo Harmony) e inverosimile: un uomo e una ragazza sulla spiaggia si conoscono sotto la pioggia e si innamorano. Ma quando capita nella vita di stare sotto la pioggia in spiaggia e di incontrare qualcuno di cui ti innamori perdutamente? Mai. Per non parlare poi dei dialoghi tra i due, lì raggiungiamo proprio la fantascienza. Anche il sentimento amoroso, come quello amicale, è trattato con superficialità, pieno di frasi fatte e molto lontano dalla realtà del mondo di oggi. 
Le caratteristiche del thriller sono presenti perché la storia, come dicevo all'inizio, ha una bella trama ma tutte le volte che si giunge a quella che potrebbe essere la conclusione intuisci che non lo sarà perché hai la netta sensazione di essere molto lontano dalla famosa verità e che ancora c'è molto da scoprire. Ma questo non ti lascia incuriosito o rapito. Continui a leggere perché ormai vuoi scoprire chi ha ucciso la giovane ragazza però a volte ti chiedi se è necessario saperlo davvero. Anche i dialoghi lasciano molto a desiderare perché anch'essi banalotti e pieni di orribili punti esclamativi che neanche nella chat con una tua amica useresti. 
Ogni tanto poi l'autore condisce il tutto con una spruzzata (anche questa banale) di attualità come il racconto delle elezioni americane, dettagli assolutamente superflui, che nulla aggiungono alla completezza del testo.
Ho tentato invano, come sempre mi accade, di fare ipotesi sull'assassino ma questo aspetto di solito non mi interessa perché sono la costruzione e il conseguente sviluppo della storia a coinvolgermi, sviluppo che, in questo caso, non si traduce mai in qualcosa di corposo e quindi avvincente. 
Insomma niente di nuovo e di eclatante sotto questo sole.
Qui non siamo di fronte a un caso editoriale e quindi mi domando il motivo di tanto successo. 
Forse perché c'è bisogno di leggerezza? 
Forse perché il linguaggio che piace al lettore di massa corrisponde allo stile di questo libro?
Forse perché sono diventata così cinica che niente più mi sorprende?
Io in queste 775 pagine non ho trovato niente di interessante, niente che mi ha entusiasmato e niente che mi ha fatto riflettere anche se sono convinta che l'idea iniziale, se sviluppata nel modo giusto e con un lavoro di editing decente, avrebbe potuto trasformarlo in un buon romanzo.
Insomma si poteva fare di più. 
Dicono che uno scrittore scriva solo un grande libro nella sua vita e per fortuna Dicker questo non è il tuo caso. 
Ritenta, sarai più fortunato.

PS: Oltre ai punti interrogativi peregrini ho trovato a pagina 400 un refuso all'interno di una frase dove manca la lettera a. Un errore abbastanza grave per una casa editrice come la Bompiani.