venerdì 23 gennaio 2015

AMERICANAH


Sono felice di aver iniziato il nuovo anno da lettrice con "Americanah", un bel romanzo scritto da una donna nigeriana che tratta principalmente la questione razziale o meglio la questione dei neri nella società americana moderna.
Ammetto che il tema della razza, se così si può definire senza suscitare facili retoriche sul termine "razza", non mi ha mai interessato particolarmente ed è per questo che ho tentennato a comprare un libro che parla proprio di quest'argomento. Il secondo motivo per cui poi non l'ho comprato subito è che tendo a non fidarmi molto di romanzi acclamati da quotidiani e riviste perché di solito mi deludono e sento di aver buttato via tempo e denaro.
Ma perché il libro è interessante? Intanto è scritto bene e questa mi pare già una sufficiente motivazione. E poi perché mi ha aperto ad un mondo nuovo quello cioè delle reali differenze che ancora oggi esistono tra neri e bianchi ma non solo. Eh si scrivo non solo perché, e qui sta l'aspetto davvero interessante, la scrittrice descrive uno spaccato della società americana dove esistono i neri americani e i neri africani (in quest'ultimo caso con ulteriori sottogruppi) che sono recepiti come due entità (entità sarà corretto?) diverse, ponendo in luce acutamente le difficoltà di un nero africano che decide di trasferirsi in America per poter studiare o lavorare. Difficoltà legate non solo alle borse di studio, al lavoro sotto falso nome, ai visti e ai permessi che scadono ma anche alle enormi discriminazioni relative al colore della pelle. Discriminazioni sottili, vedi i giornali con modelle solo bianche che forniscono consigli per trucchi e capelli per donne bianche, ma molto gravi per la società in cui viviamo oggi. Voi per esempio avete mai letto una rivista dove si promuove un fondotinta per donne di un colore della pelle diverso dal bianco? Avete mai letto un articolo dove si consiglia come curare i capelli crespi delle donne nere? Eppure siamo nel mondo. Non sono forme di discriminazione queste?
Ricordo che in America la questione razziale non si è ancora risolta come ci dimostrano i recenti fatti di cronaca e mi piace anche ricordare che solo negli anni Sessanta (e quindi solo cinquant'anni fa), grazie ai movimenti sui diritti civili, fu approvata una legge contro la segregazione razziale in merito a istruzione, lavoro e possibilità di voto. E sto parlando non dell'Ottocento ma del 1964 (e noi qui a farci i selfie). E sto parlando di Kennedy e Martin Luther King (e noi qui a farci i selfie parte seconda). 
Quando fu eletto Obama ero felice per quello che poteva significare per tutti gli uomini non bianchi un presidente nero alla guida degli Stati Uniti d'America tuttavia mi rendo conto solo ora di quanto il mio pensiero sia stato banale e superficiale. Io non sapevo nulla e forse ancora non comprendo pienamente la portata di quella conquista e di quanto ancora la strada sia lunga  per il riconoscimento dei diritti civili di ogni singola persona anche in paesi considerati moderni. Ma moderni rispetto a cosa? Rispetto a chi?
Penso ai recenti fatti accaduti in Francia e ai commenti relativi agli attentatori: "erano [neri] francesi!" Ahia. La geografia umana che si usa per giustificare i buoni dai cattivi ci ha tradito! Adesso dobbiamo aver paura di tutti. Ma anche questa non è una forma di discriminazione civile e sociale?
Il libro non l'ho ancora terminato (mi mancano un centinaio di pagine) ma non ho bisogno di concluderlo né di raccontare la trama per consigliarlo a tutti coloro che vogliono leggere un romanzo di una donna, di una storia d'amore, ma soprattutto di una storia strettamente legata ai diritti civili che sembrano alla portata di tutti ma che, purtroppo, non lo sono nella realtà. 
La storia della vera uguaglianza è ancora da scrivere.


mercoledì 7 gennaio 2015

Joan Didion per Céline

La casa francese Cèline ha scelto per la nuova campagna della primavera 2015 una delle più grandi giornaliste e scrittrici viventi: Joan Didion.
Con i tempi che corrono intervallati da diete, fitness e selfie dove siamo tutti belli perchè estremamanete ritoccati e dove l'apparenza conta senza la sostanza Céline punta su un volto certamente non giovane. Operazione di marketing con lieve puzza sotto il naso?
Fatto sta che la scelta non è caduta su una donna qualsiasi e sono in molti a parlarne (vedi articoli di Vogue e del Guardian). Il segnale è: siamo bravi, siamo chic, siamo minimal, scegliamo un'ottantenne, scegliamo un'intellettuale del nostro tempo e per di più donna. E che intellettuale!
La campagna pubblicitaria esce dallo stereotipo della bella-giovane-coscia lunga quindi un grande plauso a Cèline anche per essere così consapevolmente e intrinsecamente snob (ADORO GLI SNOB MA SOLO QUELLI VERI) tuttavia l'ottantenne, come mostra l'immagine, è eccessivamente magra. 
E qui Céline mi cade sul clichè. Ma forse Didion nella foto più che essere se stessa rimanda a quello che rappresenta e che dovrebbe rappresentare per le donne di questi strani tempi moderni ovvero che un po' di sostanza non guasta. 
Magari ad ottantanni potreste diventare le protagoniste di una campagna pubblicitaria proprio come lei.
Ma non credo che questa foto per una scrittrice del suo calibro sia il coronamento della propria carriera.
Cerchiamo il raggiungimento della perfezione proseguendo costantemente nella direzione sbagliata.
Il tempo dedicato ai selfie è tempo perso.
Riflettete gente, riflettete.



lunedì 5 gennaio 2015

The New Yorker

Per la prima volta nella mia vita ho avuto il piacere di sfogliare la rivista per eccellenza, il New Yorker, e ho potuto farlo in un ristorante fiorentino (recensito dal settimanale).
Che bellezza!